A un passo dal Paradiso Terrestre

A un passo dal Paradiso Terrestre

Fin dal suo debutto rossiniano come Cenerentola nel 2001, Joyce DiDonato è uno dei mezzosoprani più apprezzati dal pubblico della Scala. Con la serata “Eden” attraversa cinque secoli di storia della musica

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Anche una voce che domina il grande repertorio barocco (come Joyce DiDonato ha recentemente dimostrato in Theodora, proprio alla Scala) sa che non si vive solo di passato. Ecco perché è nato Eden, un album che abbraccia un panorama ampio quasi mezzo millennio, da Biagio Marini alla contemporanea Rachel Portman, trasformatosi in un tour mondiale corredato di progetti di sensibilizzazione ai temi ambientali. Ritratto di un mezzosoprano militante, che il 23 giugno alla Scala propone proprio il frutto di questo progetto, con brani da Gluck, Händel, Mahler introdotti dall’enigmatica “Domanda senza risposta” di Charles Ives. La serata è a favore della Fondazione Francesca Rava.

LB DiDonato, ci porti nel suo Eden.
JD Il germe ispiratore è stato una citazione del drammaturgo Jonathan Larson: “L’opposto della guerra non è la pace: è la creazione”. Questo programma presenta alcuni grandi capolavori distanti secoli (come l’aria “Toglierò le sponde al mare” da Adamo ed Eva di Mysliveček accostata a “Nature, the gentlest mother” di Aaron Copland) per invitare a connetterci più profondamente al mondo in cui viviamo. Lo scopo, simbolico, è piantare e nutrire un nuovo giardino.

LB È per questo che in ogni tappa del suo tour regala semi da piantare?
JD Finora abbiamo distribuito 44.000 “seed card” in oltre 27 città. Quando arriveremo alla Scala, saranno quasi 70.000. La cosa bella è che in ogni singola città ho notato un ascolto incredibilmente attivo e coinvolto. E non vorrei dimenticare la presenza del Coro di voci bianche, con i bambini che sono Eden incarnati, un dono di speranza vivente. È il progetto più significativo della mia carriera, senza dubbio.

LB Eden sembra anche un nuovo manifesto del cantante d’oggi: non solo arie ben cantate, ma musica al “servizio” della società.
JD Siamo così fondamentalmente disconnessi nel mondo di oggi. È come se cercassimo inconsciamente sempre più rumore per placare noi stessi, per eliminare le domande dentro di noi. Naturalmente quelli di noi che amano la musica forse hanno già un orecchio pronto per l’ascolto profondo, ma vedo una tendenza nichilista, anche nell’industria musicale, e vorrei cercare di sradicarla. Se ascoltiamo “As with Rosy steps the morn” e siamo profondamente commossi dalla pace e dal senso di profonda, meritata speranza che quest’aria risveglia dentro di noi, allora è nostra responsabilità individuale mantenere viva quella consapevolezza. Non possiamo quindi semplicemente uscire in strada e soccombere immediatamente alla disperazione e al caos. Siamo anzi chiamati a portare con noi quella speranza che ci è stata data dal compositore, dal librettista e dagli interpreti.

LB Che speranze aveva, invece, quando debuttò alla Scala?
JD Devo essere onesta? Ero incredibilmente nervosa, ma perfettamente preparata. Cantavo nel secondo cast della Cenerentola diretta da Bruno Campanella. Ero preoccupata all’idea di essere fischiata. E così mi sono preparata mentalmente quando ho fatto la prima apparizione (con le spalle al pubblico, mentre macinavano il caffè). Ero pronta al peggio. E invece la magia sembrò scendere sopra di me, e quella notte mi sentii veramente come Cenerentola. Non dimenticherò mai che poco prima dell’aria finale, “Non più mesta”, il grande Michele Pertusi, che cantava Alidoro, mi prese la mano e mi disse: “Divertiti!”. Ho cantato al meglio delle mie possibilità, con il Maestro Campanella che sorrideva da un orecchio all’altro. Il pubblico è esploso in un applauso e mi sono innamorata per sempre di questo incredibile teatro. Indimenticabile.

LB Lei è di casa al Metropolitan di New York. Un teatro che sta puntando molto sui titoli contemporanei.
JD Aprirò la stagione al Met a settembre con Dead Man Walking di Jake Heggie. L’ho cantata un paio di volte e posso dire senza esitazione che è l’esperienza teatrale più profonda che abbia mai avuto. Penso che la chiave sia trovare pezzi che permettano alla voce di spiccare il volo ed evidenziare la profonda emozione dei personaggi, e di raccontare una storia che conti davvero. Potremmo non farlo sempre bene - e penso che il pubblico dovrebbe essere gentile nel lasciare che i compositori trovino la loro strada (anche Mozart ha mancato il bersaglio alcune volte!) - ma la ricompensa è nel fatto di poter lasciare il nostro segno collettivo per le generazioni future.

LB Lei dedica anche molto tempo alla crescita di giovani talenti. Che insegnante è?
JD Sono molto esigente, ma sempre su un piano propositivo e non distruttivo. Da giovane ho sofferto molto un tipo di insegnamento umiliante e sprezzante, e non mi sognerei mai di infliggerlo a qualcun altro. I cantanti hanno così tanto da elaborare, destreggiarsi e capire, che non hanno certo bisogno di insulti per diventare migliori. Ma i miei standard sono incredibilmente alti: capisco quasi immediatamente fino a che punto posso lavorare su un particolare cantante. Alla fine i migliori studenti sono quelli senza alcuna difesa, che rimangono aperti e disposti a crescere per espandere il loro talento.

LB Lei ha cantato e canta spesso anche in luoghi dimenticati dalla musica, come i penitenziari.
JD Sono state le esperienze più profonde che abbia mai avuto nella musica. Non penso di essere fuori luogo se dico che per quanto meravigliosi siano gli amanti dell’opera, spesso fissano standard impossibili da soddisfare. Lo capisco fino a un certo punto, perché dobbiamo darci l’opportunità di fallire, di rischiare, di esplorare, di crescere. Ma pochi cantanti si sentono liberi di farlo per paura di non soddisfare le aspettative del settore. Quando porto Händel, Mahler o Rossini in una prigione dove non esiste alcun contesto o registrazione di riferimento, le persone reagiscono per puro istinto, sperimentando visceralmente il brivido e l’emozione profonda della voce umana.

LB La sua ultima esperienza?
JD A dicembre ero al Sing Sing Maximum Security. Ho cantato “Ombra mai fu”, brano che chiude il concerto “Eden”. Alle persone che ascoltavano ho semplicemente detto: “È una canzone piuttosto sciocca, parla solo di qualcuno che apprezza l’ombra di un albero. Di solito l’opera contiene più passione e drammaticità. Ma, anche se è sciocca, penso che rimarrete sbalorditi dalla sua bellezza”. Quando ho finito di cantare, un giovane in prima fila ha alzato la mano e ha detto: “Miss Joyce, non voglio mancarle di rispetto, ma non penso che quella canzone sia sciocca. Darei qualsiasi cosa per sedermi sotto un albero come quello in questo momento”.

LB È riuscita anche a far cantare il suo pubblico non convenzionale?
JD Eccome. Una volta tre uomini si sono uniti a me in “Pur ti miro”. Mi hanno detto che avevano risparmiato per comprare il disco, hanno imparato l’italiano e l’abbiamo eseguita insieme davanti a 150 persone. Questo è il motivo per cui dobbiamo essere più audaci nel portare la musica ai cuori di chi ne ha bisogno.

Luca Baccolini