Bach oratore della Passione

Bach oratore della Passione

Philippe Herreweghe, atteso alla Scala con il Collegium Vocale Gent per eseguire la Passione secondo Matteo, parla del suo rapporto con Bach e la sua sottile retorica musicale

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Dopo dodici anni d’assenza, quest’anno il Teatro alla Scala celebra la Settimana Santa con la Passione secondo Matteo di J. S. Bach. Gli interpreti saranno Philippe Herreweghe e il Collegium Vocale Gent, protagonisti indiscutibili per la tradizione della prassi storicamente informata, che dal 1970 fanno risuonare il repertorio sacro bachiano in tutto il mondo. Nonostante la distanza storica e culturale che ci separa dalla Passione secondo Matteo così come l’aveva concepita Bach (che la scriveva per la liturgia dei Vespri del Venerdì Santo alla Chiesa di San Tommaso di Lipsia), e nonostante la sua imponente complessità sul piano musicale e teologico-drammatico, quest’opera è ancora capace di parlarci e farci emozionare.

 

MB Dopo quasi tre secoli, che cosa rende ancora la Passione secondo Matteo così affascinante?

PH Il tremendo arco di tensione; la fusione profondamente meditata e organica di testi letterari essenzialmente molto diversi; la narrazione di una tragedia universale (il dio-uomo innocentemente messo a morte) e delle più profonde riflessioni sulla vita, la morte, la colpa, la penitenza e la redenzione, in un linguaggio musicale che riassumeva e trascendeva l'arte tonale occidentale del tempo.

 

MB Eppure, nel momento in cui quest’opera entra nelle regole del mercato (anche musicale) e si rapporta con un mondo globalizzato e quindi con culture “altre”, viene naturalmente sottoposta a processi di ibridazione. Non serve andar lontano: basti pensare al diverso spirito con cui il mondo luterano e quello cattolico vivono le vicende della Passione.

PH Questo è esattamente il motivo per cui una performance della Passione secondo Matteo è un'esperienza diversa in una buona chiesa protestante in Germania, ad esempio, rispetto a un’esecuzione nei paesi cattolici, dove il pubblico è più abituato a un pathos estroverso, distante dal mondo di Bach. In quest’ottica, l'obiettivo dell'artista è essere il più convincente possibile, rimanendo fedele a Bach senza cercare di accontentare il pubblico: niente folla, niente effetti gratuiti.

 

MB Questa sarà la prima volta in cui il Collegium Vocale Gent calca il palcoscenico del Teatro alla Scala. Una volta arrivati, come lavorerete alla Passione e come vi rapporterete con lo spazio particolare di questo splendido teatro all’italiana?

PH Nel corso dei suoi oltre cinquant’anni di attività, il Collegium Vocale ha eseguito fino a diciassette concerti consecutivi della Passione secondo Matteo. Anche questa volta, sarà un'esperienza unica e impegnativa, non da ultimo per la necessità di adattarsi a condizioni acustiche sempre diverse, che hanno in comune solo il fatto di essere radicalmente differenti da quelle della Chiesa di San Tommaso di Lipsia. A ciò, si aggiunga che anche la cultura musicale e spirituale degli ascoltatori è sempre diversa, e questo gioca un ruolo importante. In un certo senso, la musica è un costante dialogo a tre, tra il compositore, l’interprete e l'ascoltatore (idealmente creativo).

 

MB Nel 1984, insieme alla sua prima incisione della Passione secondo Matteo, pubblicava il contributo Bach et la rhétorique musicale in cui affermava che “la retorica musicale è l’unica chiave di lettura valida per comprendere il repertorio da Josquin a Bach”. Nel frattempo sono passati quarant’anni, e il mondo (anche di chi ama la musica antica) è cambiato profondamente. Che cosa è rimasto, oggi, di quel suo modo di leggere Bach?

PH Quando scrissi questo saggio in occasione del nostro primo disco della Passione secondo Matteo, l'esplorazione del linguaggio musicale barocco in termini di strumentazione, accordatura, ornamentazione e articolazione era ancora agli inizi. Da studente gesuita, ero particolarmente interessato all'aspetto retorico di tutto ciò: ogni composizione di Bach segue la struttura di un discorso articolato secondo canoni classici, anche nei dettagli retorici più minuziosi. Prendiamo ad esempio la Messa in si minore: la seconda parte del monumentale Kyrie di apertura suona improvvisamente più grave, proprio come farebbe un oratore che abbassa inaspettatamente il tono della voce per essere più convincente. In retorica, questo espediente si chiama “ipallage”. Per quanto mi riguarda, però, fare arte oggi significa conoscere il più possibile le regole e poi dimenticarle, per concentrare lo sguardo, l'orecchio e il cuore sul contenuto profondo dell’opera. Dopotutto, si dice che la cultura sia proprio “ciò che rimane quando si è dimenticato tutto”.

Maria Borghesi