Caleidoscopio Turandot

Caleidoscopio Turandot

La nuova produzione di Turandot per l’anno del centenario pucciniano è diretta da Michele Gamba, che in questa partitura incompiuta vede una geniale espressione dello spirito internazionale di Puccini

michele gamba saluti Turandot

È Michele Gamba a dirigere Turandot. Parliamo di un Maestro che dimostra la metà dei suoi quarant’anni, già ben conosciuto alla Scala per avervi concertato Rigoletto, L’elisir d’amore, Le nozze di Figaro, Medée, il balletto Madina e altro. Si esibisce anche come pianista e dirige in un ormai lungo elenco di importanti teatri, tra cui il Metropolitan, la Staatsoper Berlin e la Semperoper di Dresda. Come altre celebri bacchette milanesi, è appassionato di musica moderna, anche se la sua professione è il teatro musicale e ci parla volentieri dell’ultima opera di Puccini, che ha già diretto a Torre del Lago. Sul mio personale curriculum, posso ormai vantarmi di essere stato suo insegnante di Storia della Musica al Conservatorio di Milano…

FRANCO PULCINI Che Turandot hai in mente?

MICHELE GAMBA Il problema che mi pongo riguarda i “decibel” di Turandot! La potenza dell’orchestrazione prende ispirazione dagli atti unici Salome ed Elektra di Strauss, operista che Puccini seguiva con interesse. Ci sono questi momenti celebrativi, a piena orchestra, con centodieci artisti del coro impegnati in una coralità “alla russa”, una banda con sei trombe, tromboni, percussioni orientali. In queste parti non è certo un’opera da cesellare, ma se mai da “moderare” con equilibrio.

FP Però è un’opera anche molto varia…

MG Dal rombo strumentale si passa a momenti molto raccolti, ad autentiche sospensioni. Pensiamo alle pause tra i tre “enigmi”. A tratti c’è un’orchestrazione rarefatta, ad esempio nella descrizione musicale della luna. Turandot è davvero un caleidoscopio degli stili che costituivano una novità per le orecchie degli anni Venti.

FP Tutti hanno presente la coralità…

MG Mi fa molta impressione col coro della Scala, che ha una sua personale tradizione interpretativa, fin dall’epoca di Toscanini. È un teatro sempre molto ricettivo nell’accogliere e affermare il nuovo.

FP Senza contare il melos cinese, malgrado il soggetto da Gozzi e forse “Nessun dorma…”, non sembra un’opera molto “italiana”…

MG Sono molto scettico verso i recenti discorsi sull’identificazione culturale, né amo la retorica dell’italianità. Una vera italianità prevede una sincera apertura verso il mondo. Puccini, una delle più geniali espressioni artistiche del nostro paese, era in realtà strepitosamente internazionale nel reinterpretare stimoli musicali parigini o viennesi, americani o orientali, colti e popolari.

FP Mi sembra che ami parecchio l’operista toscano… Lo dirigi molto?

MG Ci mancherebbe! Ho diretto Bohème, Tosca, Gianni Schicchi, Tabarro, Messa di Gloria e altri pezzi.

FP Tu sei molto conosciuto anche come interprete di musica nuova. Non mi sembra che Abbado o Boulez delirassero per Puccini…

MG Ma Schönberg, al quale Puccini espresse la sua ammirazione per il Pierrot lunaire, amava Tosca, opera che persino Mahler, un po’ prevenuto, dovette ammettere quanto fosse ben orchestrata. A Webern piaceva La fanciulla del West. Puccini era amato anche da Luigi Dallapiccola, che ha tradotto in “lirismo italiano” la scrittura seriale. Zemlinsky ha diretto la prima viennese di Turandot.

FP C’è poi quel famoso passo di “Tu che di gel sei cinta”, che ricorda le “rondes printanières” della Sagra della primavera, quasi una citazione.

MG L’aveva sentita e descritta come una incredibile cacofonia composta da un genio. Forse gli è rimasto il tema nella memoria, o ha voluto omaggiare Stravinskij. Puccini non fece in tempo a sentire le prime composizioni di Šostakovič, né si ha notizia che abbia apprezzato Prokof’ev, ma quel mondo “plastico” post-Rivoluzione russa, mi sembra curiosamente di sentirlo tra le note di Turandot.

FP La consideri un’opera molto diversa dalle altre di Puccini?

MG La sento come un’opera “oggettiva”. Ci sono la melodia, l’invenzione tematica, la freschezza dei temi, ma è la partitura di Puccini più aperta alle avanguardie di allora. L’inventiva timbrica ricorda Ravel, Debussy, lo Stravinskij di Renard. Ammiro molto l’articolazione dei tempi drammatici. La successione delle scene è molto chiara, molto ben costruita, con tempi precisi e proporzioni ben studiate, come fosse Il castello di Barbablù di Bartók. Una struttura, direi, non molto italiana.

FP Ci hai detto della coralità russa, dell’orientalismo, ma non va dimenticato il mondo dell’operetta: Ping, Pong e Pang non godono di buona stampa per parecchi presunti palati raffinati…

MG Snobbare i Ministri sarebbe come snobbare Stravinskij! Però bisogna distinguere: con i ragazzi che fanno Ping, Pong e Pang insisto perché non rendano queste tre maschere troppo caricaturali. Rappresentano un po’, come diceva Davide Livermore, l’inconscio di Calaf, ma anche la ragione e il buon senso. Io auspico che si asciughi il più possibile l’interpretazione, con linee vocali secche, senza inflessioni parodistiche. Vorrei ottenere un suono snello, moderno, articolato. Così, almeno, non li si guarda più dall’alto in basso!

FP Allora li difendi?

MG Ripeto, Puccini li tratteggia modernamente, come potrebbe fare Stravinskij. Pensiamo a come Strauss tratta le maschere nella Ariadne auf Naxos e confrontiamole con i nostri Ministri: mi sembra che ci sia più disimpegnata commedia dell’arte in Strauss che in Puccini.

FP Michele Girardi ha scritto che il miglior finale per Turandot l’avrebbe potuto scrivere Ravel. Che finale proporrete questa volta?

MG Non si può dargli torto! Ravel diceva di Puccini “Il nous a été frère” (è stato per noi un fratello). Io ho sempre diretto il finale di Berio, che mi sembra la soluzione preferibile. Capisco che ci possano essere dubbi sul lavoro che ha fatto sugli appunti di Puccini, ma il suo resta per me il migliore fra i completamenti di quest’opera purtroppo incompiuta. Berio ha considerato quella parte di ascendenza wagneriana di Turandot, in cui le citazioni del Tristano non si contano. Ho avuto modo di parlarne anche con il Maestro Chailly, che per primo ha diretto il finale di Berio e lo ha scelto anche per l’ultima produzione di Turandot vista alla Scala nel 2015.

FP Ma questa volta?

MG Dirigo il finale breve di Franco Alfano, quello voluto da Toscanini. Si tratta di una produzione nuova, che verrà ripresa nel 2026, centenario della prima rappresentazione, e nasce quindi anche come omaggio a Toscanini.

FP Puccini componeva al pianoforte, e tu, in quanto ex “correpetitore”, sei stato un esecutore di opere al pianoforte. Hermann Scherchen, nel suo trattato di direzione d’orchestra, diceva che il direttore non deve farsi condizionare dal fraseggio del pianoforte, ma pensare con l’orchestra. Che mi puoi dire in proposito?

MG Il pianoforte ti fa capire subito le armonie e ti aiuta nel concepire una frase. Certo, ti depaupera dei colori dell’orchestra. Ma il pianoforte, devo dire, ti spinge a mantenere unitaria la struttura. L’analisi dei particolari della strumentazione porta invece a suddividere con la bacchetta, ti inquadra un dettaglio topografico del brano, col rischio che non si pervenga all’unità dell’insieme. Il dettaglio va senz’altro identificato e scavato, ma non a scapito della lunga linea della frase. In questo, il pianoforte ti aiuta.

FP Nell’opera, pensi che un direttore debba squadrare il ritmo, alla Toscanini, o assecondare le qualità vocali degli interpreti?

MG La seconda che hai detto! Sono fortunato di lavorare sempre con cast di alto livello, da cui c’è molto da imparare. Ogni cantante ha un vissuto umano che gli ha dettato scelte interpretative. Anche chi debutta in un ruolo, ha una sua personalità, che deve essere ascoltata e capita. Anna Netrebko ha una voce meravigliosa, con cui può fare quel che vuole, ma la sua sensibilità artistica la porta in Turandot a lasciar scorrere, per esempio nella scena degli enigmi. Immaginavo da Rosa Feola una Liù, come dire, “estetizzante”, mentre è molto diversa. Con tutti loro non batto il tempo, lascio che cantino. E le grandi voci vanno ascoltate con attenzione: è uno sforzo utile, che ti arricchisce. La loro arte deve tuttavia trovare spazio in una forma coerente.

FP E l’orchestra?

MG Anche l’orchestra può beneficiare dall’ascolto del fraseggio di un grande interprete. L’accompagnamento deve essere coerente con la melodia, con la sua dinamica. Anche quando non c’è coincidenza di intenti, o si è addirittura in disaccordo, si trovano poi i modi per far funzionare l’insieme in una sintesi che emozioni il pubblico.

 

Franco Pulcini