Due étoile per una luna

Due étoile per una luna

In vista del prossimo Gala Fracci, Luciana Savignano ha trasmesso a Nicoletta Manni la coreografia de La Luna, che Maurice Béjart creò per lei negli anni Settanta

032 0H2A6214.ph Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala

Maurice Béjart creò nel 1976 alla Scala il solo La Luna per l’étoile Luciana Savignano sull’Adagio del Concerto per violino in Mi maggiore di Johann Sebastian Bach all’interno del balletto Héliogabale ou l’anarchiste couronné. Quei folgoranti sette minuti di danza che racchiudono, come uno scrigno, l’universo artistico e il linguaggio gestuale di Béjart attraverso l’evanescente femminilità di Savignano giungono fino a noi, oggi, attraverso la testimonianza incarnata della musa italiana del grande Maurice. Su invito del Direttore del Ballo Manuel Legris, Luciana Savignano ha trasmesso nei mesi scorsi la coreografia de La Luna a Nicoletta Manni, l’étoile della Scala di oggi, che lo interpreta per la prima volta nel Gala Fracci del 19 aprile 2024. Un incontro speciale che è non solo un passaggio di testimone tra due étoile, ma un prezioso confronto tra due epoche del balletto e due diversi modi di essere protagonista della scena. 

 

VC Signora Savignano, com’è nata La Luna? Si è sentita musa al momento in cui Béjart creava? 

LS Il solo La Luna è nato in maniera molto fluida, naturale. Con Béjart l’abbiamo montato in poco tempo: quando Maurice mi dava indicazioni, era come se le avessi già assimilate prima, non so dove, come, perché. Questa è stata la magia che ha poi guidato tutto il mio percorso. Béjart ha visto in me la mia malinconia di fondo. Nell’assolo c’è un modo delicato di porgersi e di nascondersi, la donna-astro mi assomiglia. Perciò sento mia La Luna: contiene la mia anima, è la mia radiografia. I movimenti delle braccia sono fondamentali perché partono dal busto, dalla zona del cuore. Un domani, vorrei essere ricordata proprio per La Luna più che per il Boléro di Béjart. Ora la affido a Nicoletta e ai tempi che verranno.

 

VC Signora Manni, Béjart ha messo in luce attraverso Savignano la femminilità più magnetica. La grande magia della donna. Come si rapporta a quest’idea dell’eterno femminino, come artista e come persona? 

NMGuardando quest’assolo, ho immaginato tante storie da raccontare prima ancora di conoscere i segreti della nascita del balletto. Lo vedo in due modi: c’è una bambina che vuole ancora essere una ragazzina e mostrare la spontaneità della sua natura più istintuale, e poi c’è la donna che, con il passare del tempo, matura. Non c’è nulla di esagerato nei passi e nei gesti. Perché la femminilità, qui, non è sensualità ma intimità e spontaneità.

  

VC La vita di un danzatore può essere costellata da grandi incontri, ma anche da incontri mancati perché impossibili, che però si possono recuperare attraverso immagini e testimonianze. Signora Manni, qual è il “suo” Béjart? 

NM Non ho avuto la fortuna di incontrare Maurice Béjart, né di danzare una sua coreografia: questa è la mia prima volta. Ma grazie a Savignano, ho il grande privilegio di confrontarmi con lei e di rivivere quello che Béjart le ha trasmesso. È un passaggio di testimone unico: altrimenti l’essenza vera del solo andrebbe persa.

  

VC Tra gli aspetti più delicati della danza c’è, appunto, la questione della trasmissione: oggi abbiamo sofisticati supporti tecnologici. Però il passaggio di un ruolo è un’esperienza artistica vissuta nel corpo. Qualcosa che nessun video può raccontare. Da cosa siete partite per questo passaggio di testimone? 

LS È la prima volta che trasmetto un ruolo da me creato. Ero molto emozionata perché non sapevo bene cosa sarebbe successo. L’aspetto essenziale che posso trasmettere a Nicoletta è ciò che ho sentito, però sta a lei cercare dentro di sé quello che le risuona. Ciascuno è diverso. Nicoletta non può fare una brutta copia della mia Luna, sarebbe sprecata. Così come quando si interpretano personaggi come Giselle, ognuna dà la propria interpretazione.  

NMOggi siamo abituati alla fretta, ai video: ma avere davanti chi ha creato un ruolo è il regalo più grande. L’unico modo per mantenere vivo quello che è stato. Durante le prove, osservando Luciana mentre mi mostrava l’assolo, mi dicevo: “Com’è bello il modo in cui esegue i movimenti o inclina la testa”. Mi ha incantato. È chiaro che su di me non è la stessa cosa e ho dovuto trovare il mio modo di essere la Luna. Non sarebbe giusto altrimenti.

  

VC Cosa significa essere musa di un coreografo? È un rapporto creativo di totale apertura in cui l’interprete si mette in gioco, anche da un punto di vista personale, e ha di fronte un artefice che l’ha scelto. Una relazione di stima reciproca ma anche un incontro tra diverse personalità… 

LS Non so che cosa significa “essere musa”. Ma so che con qualsiasi coreografo, non solo Béjart, sono sempre stata attentissima agli sguardi: come il coreografo mi guarda e come ricevo quello sguardo. Dallo sguardo parte un processo che va oltre, dà sicurezza o viceversa la toglie all’interprete. Non c’è bisogno di tante parole in sala ballo, non servono.  

NM L’aspetto più bello del rapporto tra un ballerino e un coreografo è quando si instaura una complicità: il coreografo comprende l’artista senza tante spiegazioni, fa un movimento che è già dentro il corpo dell’interprete. È un’unione molto rara il cui risultato è unico. Alexei Ratmansky è uno dei coreografi a cui mi sono affidata totalmente, ho fiducia in lui, lo stimo. Anche quando mi è capitato, all’inizio, di non sentirmi dentro alla coreografia che stava creando, sapevo che poi mi avrebbe portato a un altro livello. È una crescita importante per una ballerina. 

 

LS Appartenete a due momenti storici molto precisi e diversi: Savignano, protagonista dell’epoca d’oro delle grandi personalità artistiche degli anni ‘70-‘80; Manni, incarnazione dell’étoile oggi, in una compagnia in cui prevale la coralità sul singolo interprete. Come vedete l’una la generazione dell’altra? 

LS Ho visto ultimamente la serata contemporanea Smith/León e Lightfoot/Valastro, il Balletto della Scala ha raggiunto un livello ottimo, i danzatori sono fin troppo bravi, oserei dire. Oggi la tecnica è diventata un’ossessione: è importante ma non va esasperata. L’arte va vista nella sua globalità, la tecnica non deve mai andare a discapito dell’interpretazione, della personalità. 

NM Guardo sempre agli anni d’oro del balletto come a un’epoca in cui sono avvenute le cose più belle. Oggi la danza si è evoluta, anche la tecnica, ma la nostra fortuna più grande, oggi, è avere proprio incontri come questo che ci danno l’opportunità di assaporare ciò che è stato vissuto prima e di portarlo avanti. Oggi il Balletto della Scala è a un ottimo livello per più ragioni: età, talenti, ricambio generazionale, qualità dei coreografi con cui lavoriamo. Grazie anche alla visione del Direttore Manuel Legris.

  

VC Il senso di appartenenza alla Scala, il fatto di rappresentare, da étoile, se stessa e il Teatro, anche nel rapporto con l’estero, che cosa ha significato e significa oggi?  

LS Ho sempre sentito la Scala come la mia casa, sono cresciuta in questo Teatro come artista e come persona. Per me, questo è un ritorno a casa dopo diversi anni, è bello ritrovare persone che mi ricordano con affetto. Ero curiosa di vedere che cosa succedeva in sala ballo: Legris ha fatto un lavoro incredibile. Però è un mondo che non è più il mio, perché oggi non c’è più tempo per fermarsi e riflettere su come va fatto un port de bras. Il mondo di oggi è così. 

NM È vero, oggi viviamo una corsa contro il tempo, anche la danza si è adeguata e non è sempre un bene. Ora il ballerino deve affrontare più stili, classico e contemporaneo, prima si sceglieva un repertorio piuttosto che un altro. Mentre oggi all’interno di una stagione di qualsiasi teatro d’opera ci sono serate completamente diverse. Il lato positivo è che apre la visione sulla danza, si è pronti a mettersi in gioco su tutto, è una sfida. D’altro canto, bisognerebbe avere più tempo ed essere più focalizzati sulle scelte. Ma i tempi sono questi. La mia promozione a étoile è stata una sorpresa anche per questo, perché sembrava ormai appartenere a un’epoca dimenticata. Invece è accaduto. 

Valeria Crippa