Fiora in trappola nel labirinto dei tre re

Fiora in trappola nel labirinto dei tre re

Il regista Àlex Ollé, una delle voci del celebre gruppo catalano La Fura dels Baus, torna alla Scala per lavorare sul decadente Medioevo immaginato da Italo Montemezzi

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Nato a Barcellona nel 1960, Àlex Ollé si unisce alla Fura dels Baus poco dopo la sua fondazione nel 1970 e dai primi anni Ottanta anima la celebre compagnia catalana come uno dei suoi sei direttori artistici, collaborando a gran parte dei suoi principali spettacoli, tra cui quello di inaugurazione dei Giochi olimpici del 1992, realizzato in collaborazione con Carlus Padrissa. Proprio con Padrissa e Jaume Plensa nascono i primi progetti operistici di Ollé, che dedicherà all’opera molte delle sue forze dal 1996 a oggi. Quest’anno, Àlex Ollé torna al Teatro alla Scala con L’amore dei tre re, la più famosa delle opere di Italo Montemezzi. Ambientato nell’Italia medievale ai tempi delle invasioni barbariche, il libretto di Sem Benelli narra le vicende di Fiora, promessa al principe italiano Avito, ma data in sposa dal re invasore Archibaldo al proprio figlio, Manfredo, in un intricato gioco di potere ed eros a cui nessun personaggio potrà sottrarsi.

 

AT Il suo ritorno alla Scala riporta al Piermarini un titolo che mancava dal 1953.

AO E questo nonostante la grande fortuna che ebbe all’inizio, dopo la prima tenutasi proprio al Teatro alla Scala nel 1913 e soprattutto il successo al Metropolitan di New York con Toscanini l’anno seguente. Dopo il primo trionfo si contano decine e decine di produzioni in Italia ma, dopo la morte, la fama di Montemezzi va gradualmente scemando e anche la sua opera più famosa è ormai raramente eseguita.

 

AT Come è stato il primo impatto con quest’opera?

AO Fin dal primo ascolto sono stato rapito dalla musica di Montemezzi e ancor più mi è piaciuto il libretto di Sem Benelli, che offre diverse sfide al regista. Innanzitutto, i personaggi sono pochi e anche la storia è un po’ particolare. Per comprenderla meglio bisogna pensare a D’Annunzio, a Maeterlinck, all’atmosfera decadente e simbolista a cavallo tra Otto e Novecento che mi ha riportato alla mente il mio lavoro sul Pelléas et Mélisande di Debussy.

 

AT Di cosa parla l’opera?

AO Parla di un mondo maschile e ostile e di una donna lasciata sola ad affrontarlo. Dei tre re del titolo, Archibaldo, Manfredo e Avito, nessuno aiuta Fiora. L’unico che mostra un po’ di bontà è Manfredo, ma com’è possibile che non capisca la posizione di Fiora, prigioniera del castello? E l’amante di lei, il suo promesso sposo Avito, perché non la salva, perché non fuggono insieme?

 

AT Già, perché?

AO Perché Fiora altro non è che l’oggetto di un desiderio maschile di potere che gli stessi tre protagonisti faticano a controllare. Ed è questo che ci interessa di quest’opera: scavare nella psiche dei personaggi con i cantanti, per comprenderne le ragioni più inconsce, per arrivare alle viscere. Perché se segui solo la trama, può sembrare anche banale.

 

AT Che ruolo svolge nel quartetto di protagonisti il vecchio Archibaldo?

AO Archibaldo è il terzo re, l’anziano uomo di guerra ormai cieco, e per me è il personaggio più importante, il vero protagonista. È lui la spina dorsale di tutta la vicenda, è lui che costringe Fiora a sposare il figlio Manfredo, proiettando la risoluzione del proprio desiderio erotico per lei sul figlio. È un personaggio terribile e crudele, in cui si fondono la forza del guerriero e la decadenza della vecchiaia.

AT Manfredo, Avito e Fiora: cosa rappresentano gli altri tre personaggi principali?

AO Manfredo non è che un poveraccio. Basta osservarlo per capire che è cresciuto sotto il pugno di ferro del padre, che ne ha soffocato ogni possibile inclinazione positiva. Il suo amore per Fiora, però, è comunque più nobile rispetto a quello di Avito.

 

AT Eppure, nelle letture tradizionali, Avito è il legittimo erede al trono, l’eroe oppresso.

AO Sì, ma torno alla mia domanda di prima: allora perché non aiuta Fiora? Porta avanti la sua avventura erotica, sì, ma poi non ha alcun interesse nell’aiutarla. Per questo Avito è secondo me un personaggio falso e ipocrita.

 

AT E Fiora?

AO Fiora è la vittima, lei sì, innamorata di Avito, ma oppressa al punto da sviluppare una sorta di Sindrome di Stoccolma per Manfredo, tenuta in ostaggio in un castello da cui è impossibile uscire.

 

AT Come avete realizzato l’atmosfera del castello?

AO È chiaro che questo castello è simbolico, di Medioevo qui non c’è veramente nulla tranne una fascinazione romantica, velata di decadentismo e di simbolismo, che arriva a mostrare nervature espressioniste. Per questo abbiamo ridotto tutto all’essenziale: un labirinto di catene, un letto e una scala, per evocare l’idea del torrione. L’importante è che lo spazio scenico disegni il sentimento interiore di Fiora, la sua claustrofobia. A differenza degli altri personaggi, da questo labirinto lei non può fuggire.

 

AT Com’è stato lavorare su quest’opera?

AO Il processo è stato molto simile a ogni nuova produzione. La prima cosa da cui partiamo è la musica, senza riferimenti visivi, così da immaginare cosa esprima e devo ammettere che la musica di Montemezzi non ti lascia indifferente. Poi passiamo al contesto storico ed estetico in cui nasce l’opera, per capire come interpretarne i diversi aspetti del libretto, come procedere con questo scavo psicologico. Come tipo di lavoro mi ha ricordato molto Quartett di Francesconi, che è stato anche il mio debutto alla Scala.

 

AT Lei ha un rapporto particolare con Milano, penso anche ad Accions e agli altri progetti della Fura dels Baus.

AO Sì, per la Fura Milano è sempre stata un punto di riferimento, qui abbiamo sempre trovato successo per i nostri spettacoli, in particolare per il teatro di prosa. Ma con Accions andiamo molto indietro nel tempo, al 1987. E ci trovavamo proprio all’Ansaldo, dove oggi si svolgono le prove per la Scala.

 

AT Un Ansaldo ben diverso da quello odierno, però.

AO Diversissimo, non c’era assolutamente nulla, era abbandonato. Anche la zona era diversa, non c’erano tutti questi negozi, questi ristoranti, era un quartiere un po’ periferico. Infatti, quando mi dissero che le prove per Quartett sarebbero state all’Ansaldo non volevo crederci, nella mia testa era ancora lo spazio vuoto in cui avevamo inscenato Accions.

 

AT Cosa si ricorda di Accions?

AO Non solo per noi della Fura, ma per tutta la Spagna, era un momento incredibile. Dopo la morte di Franco, nel 1975, le energie represse durante i decenni di dittatura esplosero. Fu come se a una bottiglia di prosecco agitata per ore avessero tolto di colpo il tappo! Ma in tutta Europa gli anni Ottanta furono anni esplosivi.

 

AT Oggi le cose sono diverse?

AO Molto. Con il cambio di millennio, dopo diversi anni di abbondanza economica e larghezza di sovvenzioni, la scena teatrale si è un po’ addormentata. In passato ho visto molta più innovazione nell’ambito operistico, anche grazie a figure come Gérard Mortier, che è stato veramente un agitatore culturale e ha permesso all’opera di entrare in contatto con artisti, architetti, cineasti, registi di prosa. Oggi, dopo un po’ di stasi anche nell’opera, credo sia arrivato il tempo di risvegliare le coscienze.

 

AT Proprio in questo momento, però, osserviamo una spinta piuttosto reazionaria per quanto riguarda le regie d’opera.

AO Sì, e fa paura. Ma credo che la cultura reagirà come ha sempre fatto, ossia spingendo ancora più avanti. Questa spinta non deve venire dalla mia generazione, deve venire dai giovani, che però mi sembra siano un po’ in difficoltà, senza fiducia nel futuro. Però, è proprio quando si è spalle al muro che bisogna cominciare a combattere sul serio.

 

AT Lei fa parte de La Fura dels Baus fin dai suoi primi anni. Come vede il suo futuro con la compagnia?

AO La Fura è e sarà sempre parte del mio DNA, e i rapporti con la compagnia sono sempre eccellenti. Dopo quarant’anni di collaborazione, però, sto cominciando a sentire il bisogno di trovare un mio cammino indipendente, con un mio team e una mia identità. Non dimenticherò mai il percorso insieme, ma credo sia tempo per me di guardare avanti.

Alessandro Tommasi