Il fascino misterioso del cigno

Il fascino misterioso del cigno

La Prima ballerina Nicoletta Manni racconta il suo Lago dei cigni e il duplice ruolo di Odette/Odile

1.9 Rivista Manni Il lago dei cigni   cor Rudolf Nureyev  ph Brescia e Amisano   Teatro alla Scala  (Nicoletta Manni) (2)

Ci sono balletti che sono più “classici” di altri. Classici proprio perché si insinuano nella nostra memoria regalandoci visioni di esaltante bellezza che superano i confini dello spettacolo per raccontare temi universali – l’amore, il mistero della morte, l’eterna lotta fra il bene e il male. Il lago dei cigni di Čajkovskij è entrato nel repertorio di tutte le compagnie e nel gusto di tutti i pubblici grazie al fascino intramontabile della fiaba romantica di Odette e Siegfried. Alla Scala, fra le molte letture che seguirono l’originale di Marius Petipa e Lev Ivanov al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo nel 1895, quella più longeva porta la firma del grande Rudolf Nureyev. Dopo nove anni, il suo Lago torna in scena al Piermarini dal 15 al 27 settembre nel trentennale della scomparsa. Dieci repliche che permetteranno a numerosi artisti del Corpo di Ballo scaligero di mettersi in luce, a partire dalla Prima ballerina Nicoletta Manni.

VC Con la danza ha iniziato giovanissima: ha sempre saputo che sarebbe diventata la sua strada?

NM Ho cominciato a due anni e mezzo nella scuola di danza di mia mamma: per me era un gioco, una distrazione, ma presto ho capito che era il mio destino. Avevo 13 anni quando chiesi alla mia famiglia di portarmi alla Scala per un’audizione: la superai e così iniziò il mio percorso in Accademia. Trasferirmi dalla Puglia a Milano non è stato semplice, avevo nostalgia di casa ma la voglia di rimanere era più forte. Una volta diplomata, a 17 anni sono entrata allo Staatsballett di Berlino: è stata un’esperienza formativa, se non l’avessi affrontata a quell’età probabilmente non l’avrei più fatta. All’inizio fu una scelta obbligata perché, essendo minorenne, non potevo lavorare in Italia; poi rimasi per tre stagioni a “fare la gavetta” nel Corpo di Ballo.

VC Nel 2014 la nomina a Prima ballerina alla Scala, incarico che ricopre da quasi dieci anni.

NM Il merito è del maestro Makhar Vaziev: dopo il diploma in Accademia, non ha mai smesso di tenermi d’occhio nonostante mi fossi trasferita a Berlino. È stato lui a incoraggiarmi a tornare alla Scala. All’inizio fu un rischio, oggi gli sono profondamente grata. Ogni giorno realizzo un piccolo sogno ma continuo a esercitarmi con la consapevolezza di non essere mai arrivata. Mi auguro che i prossimi dieci anni siano altrettanto intensi, di vivere tante altre vite sul palco di questo prestigioso teatro.

VC Che cosa rappresenta per lei Il lago dei cigni?

NM Indubbiamente è il balletto dei sogni: ho sempre desiderato danzarlo sui palcoscenici dei più grandi teatri fin da bambina e ha segnato il mio debutto alla Scala nel 2013. Avevo solo 21 anni ma fu un esordio esplosivo: quattro recite in quattro giorni accanto a Carlo Di Lanno e Christian Fagetti, anche loro debuttanti. L’anno dopo lo ripresi nuovamente nella versione di Nureyev, poi questa rilettura fu archiviata per far posto all’allestimento di Ratmansky. Ritrovarla a distanza di nove anni con l’esperienza maturata nel frattempo è straordinario: ho avuto modo di cimentarmi in vari gala qui alla Scala nel ruolo di Odile, ma sono davvero curiosa di riscoprirmi come Odette, parte che non ho più toccato da allora.

VC La fragile e spirituale Odette da una parte, l’insidiosa e ammaliante Odile dall’altra. Quali difficoltà tecniche e interpretative comporta questo ruolo duplice e contrapposto?

NM Il ruolo di Odette-Odile presuppone una completezza interpretativa notevole perché racchiude la conflittualità presente in ognuno di noi. Non a caso, è il balletto più ambìto da ogni danzatrice a qualsiasi età e a qualsiasi livello. Bisogna saper creare le giuste differenze di colore nel corso della stessa serata: per mutare velocemente personalità fra un cambio e l’altro è richiesta una profonda conoscenza del proprio corpo e del proprio spirito. Le candide linee della principessa Odette fanno emergere la parte più intima, delicata, eterea dell’essere umano: il cigno bianco è tutto fremiti e allusività di braccia, quasi volessero spingerla a prendere il volo da un momento all’altro. Viceversa, il cigno nero Odile mostra da subito decisione e sicurezza, con voluttuose e funamboliche variazioni puntate alla velocità e alla seduzione. Ci si può davvero sbizzarrire con le mille sfaccettature del suo carattere prorompente.

VC Si è ispirata a qualche danzatrice di ieri o di oggi?

NM Sono tante le interpreti da cui prendere spunto… Ho guardato più volte i video di Ul’jana Lopatkina nei panni di Odette, che trovo commovente per il magistrale virtuosismo e la tecnica miracolosa del suo nobile corpo da cigno. Ma ho seguito anche l’esempio di Polina Semionova, che ho avuto la fortuna di osservare da vicino durante la mia permanenza allo Staatsballett di Berlino e, poco dopo, in occasione del mio debutto scaligero: è un’artista dotata di un carisma unico, di un’assoluta padronanza sulla scena, sensuale e seducente sia nella fragilità di Odette sia nella spregiudicatezza di Odile.

VC Nel 2016 ha preso parte alla versione del Lago di Ratmansky che ha sostituito per qualche anno quella storica di Nureyev. Quanto sono distanti fra loro queste due riletture?

NM La versione di Nureyev rappresenta una rivoluzione nella lunga storia del balletto di Čajkovskij e le peculiarità che lo contraddistinguono riguardano non solo l’ambito coreografico ma anche la sfera drammaturgica. Il riferimento all’umano e alla sua complessa condizione è ciò che Nureyev tenta di mettere in rilievo in primo luogo nel ruolo di Siegfried, che concepisce come un eroe romantico negli assoli del II atto mentre altrove funge solo da partner. Nella coreografia di Ratmansky è più centrale il ruolo di Odile: non mancano ovviamente i 32 fouettés che precedono il tragico epilogo ma nel Pas de deux del III atto non sono previsti movimenti di cigno; il personaggio deve, più che imitare le movenze di Odette, far gioco sulle proprie abilità di incantatrice maligna. Inoltre, i suoi atti bianchi riproducono un’atmosfera lirica d’altri tempi, che ricostruisce l’originale di San Pietroburgo del 1895. I tutù sono più lunghi, ingombranti, e non consentono le estensioni dello stile odierno: i passi sono meno acrobatici e l’altezza delle gambe non supera mai i 90 gradi. Porterò con me sicuramente un pezzo di questo Lago: se è stato arduo introiettare lo stile rievocato da questa ricostruzione, l’umanità di Odette mi resterà addosso quando danzerò nel Lago di Nureyev.

VC La sua galleria vanta i ruoli più disparati, dal repertorio classico a quello contemporaneo fino ai Gala ideati da Roberto Bolle. A quale è più affezionata?

NM Quando si cresce cambiano i gusti così come la percezione della danza, è uno degli aspetti più stimolanti del nostro mestiere. Fra i personaggi che ho interpretato, serbo nel cuore quelli che hanno misurato la mia maturità artistica dando una svolta alla mia carriera nel 2017: Tat’jana in Onegin di John Cranko e Marguerite nella Dame aux camélias di John Neumeier. Sono ruoli molto interpretativi, quasi più attoriali che danzati.

VC Un anno fa il suo collega e compagno di vita, Timofej Andrijashenko, ha fatto sognare l’Arena di Verona con una proposta di matrimonio emozionante. Com’è condividere il palco con la persona che si ama?

NM La danza è parte fondamentale della nostra vita, ma quello che più ci unisce è la complicità che abbiamo trovato, l’equilibrio che siamo riusciti a costruire fra lavoro e privato. Siamo molto diversi, ma questo ci aiuta fino a renderci complementari. Nella vita quotidiana la più razionale sono io, ma quando condividiamo il palco ci lasciamo travolgere entrambi dalle emozioni. Che si tratti di storie d’amore o tragedie, ciò che interpretiamo è pura verità.

VC Fuori dal teatro siete entrambi testimonial della Fondazione Italiana per la Ricerca sull’Artrite (Fira). Che effetto le fa raccogliere l’eredità della grande étoile Carla Fracci, per 12 anni a fianco della Fondazione?

NM Carla Fracci non era solo un’icona della danza, ma un esempio di dedizione e generosità. È un grandissimo onore seguire le sue orme sostenendo una causa così importante. Da ballerini sappiamo bene quanto sia fondamentale muoversi liberamente, per questo abbiamo voluto mettere la nostra arte al servizio della ricerca. Nello spot di sensibilizzazione che ci vede protagonisti impersoniamo la malattia e la cura attraverso una performance basata su nostre improvvisazioni. Il messaggio che intendevamo trasmettere è proprio il cambio di prospettiva che si innesca quando la ricerca scientifica riesce a trovare una via d’uscita alla sofferenza.

Valentina Crosetto