Onegin e l’eredità di John Cranko

Onegin e l’eredità di John Cranko

Reid Anderson, direttore artistico dello Stuttgart Ballet e supervisore dei balletti di Cranko, ricorda l’originalità creativa del grande coreografo, figura chiave del balletto narrativo del ventesimo secolo

intervista a Reid Anderson

Nel mese di novembre la Scala renderà omaggio a John Cranko nel cinquantesimo anniversario della sua scomparsa riproponendo uno degli esempi più nobili di balletto drammatico, Onegin. Ispirato al romanzo in versi di Aleksandr Puškin e creato sulle musiche di Pëtr Il’Ič Čajkovskij, il titolo dedicato a una delle più grandi e infelici storie d’amore godrà ancora una volta della supervisione coreografica di Reid Anderson. Già direttore artistico dello Stuttgart Ballet, è di prim’ordine la sua lunga attività volta a preservare e coltivare l’eredità artistica di John Cranko in numerose compagnie di danza. Dal 1993 è presenza costante alla Scala in tutte le riprese di Onegin, suo il compito di tutelare l’autenticità di un titolo irrinunciabile della coreografia novecentesca.

 

VL Nell’anno che segna il cinquantesimo anniversario della prematura scomparsa di John Cranko, la Scala omaggia il grande coreografo con la ripresa di Onegin. Cosa rappresenta per lei questo esempio mirabile di dance drama?

RA Onegin è stato il primo balletto di John Cranko che ho visto quando, dopo la formazione alla Royal Ballet School di Londra, sono entrato a far parte dello Stuttgart Ballet. Era il 1969 e in quei giorni la compagnia portava in scena proprio questo titolo. Mi creda, all’epoca non sapevo nulla di questa creazione, l’unica cosa che ho riconosciuto era la musica di Čajkovskij. Mi sono subito reso conto, però, che la storia veniva raccontata in modo splendido, tutto aveva senso ed ero riuscito a capire quel che accadeva in scena riconoscendo le peculiarità di tutti i personaggi principali. John Cranko amava ripetere, infatti, che un vero balletto narrativo è tale che, se arrivi tardi in teatro, le luci si sono abbassate, non conosci la trama e non puoi leggere il programma di sala, dovresti comunque poter capire quanto accade sul palco. Onegin è così comprensibile che non importa quale sia il background dello spettatore per apprezzarlo. Pensi che ho sentito alcuni affermare che la danza non era la loro arte prediletta eppure, dopo aver visto questo balletto, è cambiata la loro vita. Per me è questo il segreto della danza.

 

VL Quest’anno ricorre anche il trentesimo anniversario della prima rappresentazione al Teatro alla Scala di Onegin. Era l’11 febbraio del 1993 e lei curava la supervisione artistica della produzione. Cosa ricorda di quell’esperienza?

RA Ricordo tanto nervosismo. Per quella prima avevamo un nuovo bellissimo allestimento firmato da Pier Luigi Samaritani e Roberta Guidi di Bagno. In quell’anno ricordo anche di aver lavorato con Carla Fracci per il ruolo di Tat’jana: tutta la compagnia era entusiasta, e lo ero anche io. Ho vissuto un momento magico, l’intero lavoro assumeva una nuova veste, posso dire di aver fatto esperienza di quello che amo definire un perfect storm.

 

VL Negli anni successivi ha ripreso questo balletto diverse volte per il Corpo di Ballo scaligero, quali peculiarità ravvisa in questa compagnia nell’avvicinamento a tale titolo?

RA Trovo che gli italiani siano molto orgogliosi e possiedano una sensualità irresistibile, in tutto ciò che fanno riescono a donare una sorta di stile distintivo, hanno un fascino meraviglioso, come pure un innegabile sex appeal. Queste caratteristiche le riscontro anche nei ballerini: hanno un portamento e un modo di muoversi che li caratterizza e che non trovi altrove, talvolta sanno anche mostrare quell’arroganza che, ad esempio, in un personaggio come Onegin è molto utile. Per queste ragioni ho sempre lavorato con piacere qui alla Scala, in questa compagnia i ballerini hanno anche un modo di approcciarsi alle attività quotidiane che si adatta estremamente bene a un’arte come la danza. In questo Teatro sono tornato spesso anche perché ho lavorato per altri titoli di John Cranko, come La bisbetica domata e Romeo e Giulietta, ballettocreato proprio per questa compagnia nel 1958. Con la Scala ho un legame particolare, la considero come un filo rosso nella mia vita, qui ho lavorato con diversi direttori e numerosi ballerini. Pensi che ho conosciuto Roberto Bolle quando aveva diciotto anni.

 

VL Proprio la nostra étoile in una delle sue ultime interviste ha affermato che lei è un répétiteur eccezionale, che ama guidare gli interpreti in ogni passaggio per affrontare al meglio i personaggi.

RA Roberto Bolle è un artista straordinario, il suo corpo sembra creato da una mano divina, le sue proporzioni sono perfette. Fisicamente ha sempre avuto tutto ciò che la danza richiede. Con lui all’inizio ero consapevole che dovevo insegnargli non cosa fare ma come farlo; la modalità di esecuzione di ogni singolo movimento è una parte del mio lavoro. È un artista che è cresciuto molto nel tempo, ma ciò che non è mai cambiato è che lui non è mai cambiato: in Roberto, infatti, ritrovo sempre la stessa persona dolce, disponibile e seria che ho conosciuto fin da giovane, non è mai scomparsa la sua etica del lavoro. È un artista sempre aperto al miglioramento e per me questo è molto gratificante. Potrei trascorrere diverse ore della mia giornata in sala ballo con i danzatori, mi creda, non ho mai avuto la sensazione di aver lavorato neppure un giorno nella mia vita, adoro la mia attività.

 

VL Un’attività essenziale per l’arte della danza. Quali sono gli aspetti più difficili del suo impegno nella tutela e nella ripresa di questi capolavori?

RA Quando mi trovo in una compagnia che non conosco, sicuramente individuare i ballerini per i diversi cast è una scelta ardua. In genere mi fido del mio istinto e nell’80% dei casi identifico bene gli interpreti per i ruoli. Naturalmente lavoro sempre con i direttori e chiedo il loro parere nelle mie scelte. Cerco di adattare la coreografia affinché i danzatori abbiano la possibilità di riuscire a interpretare al meglio, voglio che si sentano a loro agio dal momento che i balletti di John Cranko possono offrire un’opportunità per scoprire capacità che non pensavano di avere. Nella mia lunga attività di direttore e répétiteur ho conosciuto migliaia di artisti. A volte posso commettere degli errori ma cerco di essere sempre gentile con tutti, credo sia sempre importante avere consapevolezza che essere un danzatore è molto difficile, occorre dedicare molte attenzioni creando anche un’atmosfera che consenta a ogni artista di fiorire nel modo migliore.

 

VL In effetti in una delle sue interviste lei ha dichiarato che danzare i balletti di John Cranko è fisicamente faticoso ma che l’interprete ne esce ogni volta vivificato e cresciuto come artista. Quali doni apporta Onegin a un ballerino?

RA La tecnica e le dinamiche di questa coreografia sono davvero meravigliose e quando impari a portare il tuo cuore nel movimento il pubblico cessa di prestare attenzione ai passi e privilegia l’emozione veicolata attraverso la danza. Non puoi non dare tutto in questi balletti e il pubblico comprende che stai donando te stesso, momenti rari che un artista non dimentica mai. Se Onegin è andato in scena perfettamente è perché tutti i ballerini coinvolti erano presenti e agivano innanzitutto come persone. I danzatori in questo balletto devono imparare a chiedersi perché la coreografia prevede alcuni passaggi, cosa comunicano alcuni passi, come si parla con il proprio corpo. Ciò che distingue John Cranko dalla maggior parte degli altri coreografi è che se il ballerino non si interroga sulle ragioni di ciò che sta facendo lo spettacolo non può funzionare. Ho avuto la fortuna di seguire questo straordinario coreografo anche in sala prove e so come preparava i danzatori. Questo mi aiuta molto nel mio lavoro in giro per il mondo poiché posso portare ciò che egli donava ai ballerini aiutandoli a capire cosa danzeranno.

 

VL Sono questi, quindi, i meriti di John Cranko riscontrabili in tale balletto?

RA Esattamente, in Onegin la storia è raccontata in modo splendido e questo è uno dei più celebri balletti narrativi a serata intera. La coreografia dei pas de deux è di grande valore e descrive allo stesso tempo una storia. Questo era un grande talento di John Cranko, come pure la rapidità nella creazione. Pensi che ha realizzato La bisbetica domata in cinque settimane.

 

 

VL Per la musica, la scelta di Kurt-Heinz Stolze di non attingere all’opera Evgenij Onegin di Čajkovskij ma di selezionare, rielaborare e orchestrare altre creazioni del compositore russo secondo lei perché è vincente? A suo avviso quale valore apportano le pagine cajkovskijane alla struttura coreografica pensata da John Cranko?

RA Credo che il lavoro di Kurt-Heinz Stolze sia stato brillante, anzi direi geniale, perché sapeva perfettamente di quali sensazioni aveva bisogno John Cranko. Condivido la scelta di non aver utilizzato pagine dell’opera, ogni brano musicale selezionato è perfetto per la danza che è stata creata e dal momento che quest’arte è applicata alla musica, se la musica è inappropriata non puoi creare danza, la simbiosi è inscindibile.

 

VL Nel 2018 Jiří Kylián parlando di John Cranko disse che era un grande intellettuale e un uomo molto generoso. Lei condivide? Perché?

RA Assolutamente sì. Quotidianamente amava fermarsi a lungo in mensa e, sorseggiando vino bianco, si dilettava a risolvere cruciverba utilizzando penne di diverso colore. Chiunque passasse da lì poteva sedersi e conversare, la mensa era il suo ufficio. Con lui potevi parlare di tutto, era una persona molto aperta, oltre che intelligente, in un giorno poteva leggere tre libri in tre lingue diverse e ricordare ogni dettaglio. Era sempre ben informato ma non peccava mai di superbia, capiva le persone all’istante e sapeva leggere nei loro occhi. A lui non si poteva nascondere nulla. Era anche molto gentile, sebbene talvolta si infiammasse rapidamente. Quando parlo di lui mi piace usare la parola straordinario nella duplice accezione di “extra” e “ordinario”, era effettivamente diverso da qualsiasi altra persona ma poteva anche essere uno come tanti. Le confido un aneddoto: un giorno sedetti con lui a mensa e mi chiese se fossi felice; risposi di sì, adoravo quella compagnia ma gli rivelai che mi sentivo spesso inappropriato. La testa grossa, la scarsa estensione del collo, la parte superiore del mio corpo simile a una scatola e le gambe lunghe come stuzzicadenti mi mettevano a disagio. Sa cosa mi ha risposto? Mi disse che tutto ciò che avvertivo come inappropriato era esattamente quello che amava di me, per lui prima di tutto ero una persona, per lui ciò di cui un ballerino aveva bisogno era la personalità. Al pubblico occorreva offrire la personalità, bisognava portare se stessi nel balletto, amava ripetere “il pubblico incontra qualcuno attraverso il tuo linguaggio del corpo, quando sali sul palco sei solo tu, così come sei”. John ti faceva davvero sentire speciale, una vera persona.

Vito Lentini