Paolo Bortoluzzi, una stella da ricordare

Paolo Bortoluzzi, una stella da ricordare

A trent’anni dalla scomparsa di Paolo Bortoluzzi, Luciana Savignano racconta la vicenda di uno dei più grandi ballerini del secolo scorso, purtroppo spesso dimenticato

Intervista Savignano Bortoluzzi

Ci sono fotografie che, misteriosamente, possiedono un’aura profetica. Quelle che ritraggono, probabilmente al debutto a Bruxelles, Paolo Bortoluzzi alle spalle di Rudolf Nureyev in Le Chant du compagnon errant di Maurice Béjart presagirono il rapporto dei due grandi ballerini con la memoria collettiva. Nello struggente passo a due che Béjart creò sui Lieder eines fahrenden Gesellen di Gustav Mahler, Nureyev era il Compagno Errante, Bortoluzzi il suo alter ego, il destino, l’ombra fatale che accompagna il giovane nel suo pellegrinaggio terrestre. “Il Compagno è un viaggiatore errante - spiegava lo stesso Béjart -, come quei giovani apprendisti del Medioevo che andavano di città in città alla ricerca del destino del loro Maestro; di uno studente romantico inseguito dal suo destino e che soffre - per usare le parole di Mahler - di ‘quel coltello nel petto’ che contiene la lotta contro sé stessi e la solitudine”. Entrambi bellissimi e all’apice della forma fisica e della carriera in quel lontano debutto alla Forest National di Bruxelles l’11 marzo 1971 (dal ’78 il ruolo di Nureyev passò a Jorge Donn), Nureyev e Bortoluzzi furono accomunati nella vita da un fatale gioco di date: coincidenti sia l’anno di nascita, il 1938 (il russo nacque su un treno in corsa per Vladivostock il 17 marzo, l’italiano a Genova il 17 maggio), sia l’anno di morte, il 1993 (Rudolf si spense a Parigi il 6 gennaio, Paolo a Bruxelles il 15 ottobre). Al termine della loro avventura terrena, però, le due stelle entrarono nel ricordo di pubblico e critica in modo del tutto antitetico: Nureyev continua a essere celebrato in piena luce in tutto il globo dopo trent’anni dalla scomparsa, Bortoluzzi scivolò quasi subito nell’ombra, inspiegabilmente. Eppure, la vita di Bortoluzzi brillò fin dagli esordi. 

Paolo Bortoluzzi iniziò gli studi di danza nella sua città natale, Genova, e a Milano fu allievo di Ugo Dell’Ara, Nora Kiss, Victor Gsovsky e Asaf Messerer. Debuttò a soli 19 anni, nel 1957, al Festival di Nervi e nel 1960 si unì al Balletto Europeo diretto da Léonide Massine. Lo stesso anno Maurice Béjart lo volle nel suo Ballet du XXe Siècle a Bruxelles, compagnia di cui, per dodici anni, Bortoluzzi fu una delle stelle rivelando straordinarie doti espressive e tecniche, oltre a un’eleganza innata, in titoli come la Nona Sinfonia, Romeo e Giulietta, Messe pour le temps présent, Bhakti, Nomos Alpha, L’uccello di fuoco, Nijinsky, clown de Dieu e, appunto, Le Chant du compagnon errant nel 1971. L’anno seguente lasciò il Ballet du XXe Siècle per una carriera da étoile nel mondo, dalla Scala - dove aveva debuttato nel 1963 in Les Demoiselles de la nuit di Roland Petit - all’American Ballet Theatre di cui fu principal. Gli anni Ottanta lo videro direttore del Balletto della Scala (1981-84), del Balletto di Düsseldorf (Deutsche Oper am Rhein) e, nel 1990, del Ballet de Bordeaux per cui creò Les Nuits d’été e La Belle et la Bête (1992). La sua attività di coreografo, iniziata con La Valse nel 1965, contemplò le creazioni per la Scala Omaggio a Picasso, Cinderella (1977), Nuits d’été (1980), Il principe felice (1987). Fondamentale il sodalizio artistico con Carla Fracci, Luciana Savignano e Vera Colombo, in titoli del grande repertorio in cui Bortoluzzi eccelleva per le squisite doti di danseur noble: Excelsior, Giselle, Il lago dei cigni, La bella addormentata e Lo schiaccianoci. Di lui Béjart disse: “incarna la gioia della danza nella sua essenza più pura”.

Eclissato l’astro di Paolo Bortoluzzi con la sua morte nel 1993, in un oblio che tradisce la sua carriera sfaccettata e internazionale, vorremmo oggi strappare qui quel velo opaco che ci separa dal suo ricordo, trent’anni dopo la scomparsa, attraverso le parole affettuose di Luciana Savignano che fu sua partner e amica. 

 

VC Savignano, la danza italiana soffre talvolta di amnesie: perché un artista del calibro di Bortoluzzi è stato rimosso? 

LS Perché nel momento di massima fama di Paolo esplose Nureyev e l’attenzione si focalizzò su di lui. Proprio com’è accaduto in Italia, in tempi più recenti, con Roberto Bolle: gli altri danzatori spariscono. Eppure, senza togliere nulla a Bolle, ballerini bravi ce ne sono. Mi chiedo: c’è posto solo per uno alla volta nel balletto? È uno strano meccanismo che non capisco. Allora c’era Nureyev e sembrava esistesse solo lui, ma Bortoluzzi ha ballato lo stesso in tutto il mondo.

 

VC Che tipo di partner erano in scena Bortoluzzi e Nureyev? 

LS Paolo mi trasmetteva sicurezza. Ricordo, prima del terzo atto del Lago, che io ero alla sbarra a scaldarmi, lui seduto tranquillo. Alla mazurka, mi porgeva il braccio: “Andiamo”. In scena, mi toccava appena, mi reggeva il minimo necessario, perché sapeva dove mettere le mani. Con Nureyev ballai in rare occasioni come Poema dell’Estasi di Roland Petit, un’esperienza unica perché Rudolf aveva una forza incredibile e te la trasmetteva, ma con lui mi sentivo in competizione, voleva dominare. Eravamo in tre donne, ma nel passo a due con lui ero la Morte, quindi ero invincibile.

 

VC L’incontro con Bortoluzzi? 

LS Avevo danzato con la compagnia di Béjart a Torino, città dove abitava Paolo, all’epoca: era venuto in quinta a vedere lo spettacolo e io guardavo Bortoluzzi che sbirciava dal backstage. Con lui è stato logico trovarsi subito: condividevamo lo stesso percorso con Béjart e danzavamo lo stesso stile. Paolo era più grande di me ed era stato in compagnia a Bruxelles anni prima di me: quando arrivai al Ballet du XXe Siècle, lui se n’era già andato. Bortoluzzi era molto sicuro di sé, sapeva quello che voleva e quello che valeva, non l’ha mai nascosto, poteva permetterselo. Abbiamo ballato tanto insieme. Con me è sempre stato molto accondiscendente, ma anche rigido. Ricordo una volta che dovevamo danzare insieme in una serata a Genova, lo raggiunsi in treno lì, da Milano, ma dimenticai di portarmi dietro le basi musicali dello spettacolo. Quando glielo dissi, lui non si scompose: “Non c’è problema, torni a Milano a prenderle”, ingiunse con tranquillità. Ripresi il treno per Milano e poi tornai a Genova per ballare, la sera. Con le musiche. Un’altra volta, durante una prova del Lago, un maître mi rimbrottava ma Paolo interveniva: “Non ascoltarlo, devi dar retta solo a me. Hai un’allure speciale”. Il giudizio di Bortoluzzi era molto importante. Mi ha dato la forza di essere una ballerina diversa.

  

VC Qualche imprevisto in scena? 

LS Per il Festival di Nervi creò per me e per sé stesso la coreografia L’incontro, un trascinante passo a due su musica di Rachmaninov. Al debutto c’era molta attesa: a un certo punto mi sollevò in aria in arabesque, ma inciampò e cademmo entrambi sul palco: con molta nonchalance, ci alzammo continuando a danzare come se nulla fosse accaduto. Mai perdersi d’animo. Quando veniva alla Scala per interpretare alcuni suoi balletti, stava seduto in quinta ad aspettare la sua entrata. Il suo corpo era già pronto senza bisogno di fare la sbarra, aveva doti fisiche naturali.

  

VC Com’è stato il Bortoluzzi direttore del ballo alla Scala? 

LS È difficile per un direttore essere completamente accettato dal corpo di ballo. All’epoca, il sindacato era guidato da capi pugnaci come Edoardo Colacrai, oggi scomparso: davano filo da torcere ai direttori. Eppure, alla Scala Bortoluzzi creò anche una sua Cinderella, una buona versione che fu ben recepita dalla compagnia. Sapeva gestire i ballerini, grazie a una lunga esperienza maturata all’estero in tante compagnie.

 

VC Che tipo di coreografo era? 

LS Molto musicale, eccelleva nei passi a due. Sapeva leggere gli spartititi perché aveva una formazione a tutto tondo, non certo improvvisata. Da lui ho imparato molto, mi piaceva assistere alle sue prove perché sapeva quello che faceva.

 

VC Ballaste in coppia anche in tv. 

LS Facemmo insieme il programma “Sotto le stelle” per la Rai. Ma per me la tv è un mezzo freddo, non ha il calore e la verità del teatro dove ogni sera è diversa. 

 

VC Che rapporto avrebbe avuto con la danza di oggi? 

LS Era molto bravo anche nel balletto contemporaneo grazie a un fisico molto duttile. Credo che avrebbe continuato a ballare cercando coreografi e ruoli giusti per la sua età.  Come ha fatto Baryshnikov. 

Valeria Crippa