Rusalka e il “nuovo mondo” delle armonie di Dvořák

Rusalka e il “nuovo mondo” delle armonie di Dvořák

Il direttore ceco Tomáš Hanus debutta alla Scala con il capolavoro di Antonín Dvořák, partitura dal tessuto musicale raffinatissimo

Rusalka (5)

Ondina, naiade, sirena. Cercate nel dizionario ceco “Rusalka” e sarà subito chiaro il soggetto di uno dei maggiori classici del teatro boemo. Il primo Romanticismo ebbe un occhio di riguardo per queste ninfe dei boschi che stando nelle acque attiravano i mortali e cercavano di tirarli giù nel fondo. Ansioso di lasciare il segno della sua genialità in sede operistica, Antonín Dvořák riportò in vita l’antica leggenda rappresentandola trionfalmente a Praga nel 1901. Un’opera nuova per il Teatro alla Scala, che per la sua prima produzione del titolo (in scena dal 6 al 22 giugno) ha affidato la regia a Emma Dante e la direzione a Tomáš Hanus, direttore musicale della Welsh National Opera che proprio con Rusalka ha debuttato alla Wiener Staatsoper nel 2017 ed è tornato più volte alla Bayerische Staatsoper.

VC Maestro, da apprezzato interprete della scuola boema, cosa la lega a compositori come Dvořák e Janáček?
TH Anche se è associato ai miei ricordi d’infanzia, non amo essere definito uno specialista di questo repertorio, preferisco essere considerato un bravo direttore. Nondimeno, riconosco la mia affinità con questi autori, e non solo per ragioni di conterraneità: nelle loro opere, tanto gradevoli quanto resistenti al tempo, c’è uno speciale connubio fra talento lirico e solido mestiere che non conosce pesantezze. Rusalka raggiunge vette insuperate di eloquenza melodica, vive in un paesaggio sonoro incantato, ricco di fantasia timbrica. Ma pure di verità, perché dietro alla favola si cela quel sottile divario fra esseri animati e inanimati, fra amore sospirato e mai raggiunto, che vena l’opera di una impalpabile linea malinconica, così slava, sanguigna ma temperata.

VC La sirena mitteleuropea di Dvořák approda vergine al Piermarini dopo oltre un secolo. Come si spiega un oblio tanto prolungato?
TH La scarsa frequenza di Rusalka sui palcoscenici occidentali è legata probabilmente alla sua natura inafferrabile. Da una fiaba ci aspetteremmo il classico lieto fine, mentre in questa “favola lirica”, lieve come un racconto di fate ma aspra come un dramma tragico, Dvořák contraddice le attese. Alla maniera della Undine di Friedrich de la Motte Fouqué e della Sirenetta di Hans Christian Andersen, Rusalka è una creatura acquatica che diventa donna per amore. Su questi presupposti si costruisce però un dramma psichico (siamo negli anni di Freud, della Secessione viennese, di Klimt) che incrocia temi quali la rinuncia all’espressione di sé, il desiderio, il tradimento, il suicidio, che di fiabesco hanno ben poco. Naturalmente, il fantastico emerge perché l’estetica simbolista si impadronisce del soggetto, con il suo immaginario di creature magiche immerse nelle brume e nelle oscurità nordiche, lontano dalla civiltà degli uomini.

VC C’è chi in passato ha tacciato Rusalka di scarsa originalità. Lei come la definirebbe?
TH Se la vicenda è di per sé ispirata a un antico motivo della letteratura romantica, originalissima è la musica. Dvořák travasa nella partitura tutta la passione per i boschi e per le acque che lo circondavano nella sua casa di campagna, compiendo anche la preziosa operazione di trasformare gli incantesimi del libretto di Jaroslav Kvapil in un tessuto musicale raffinatissimo, cangiante, su cui le voci ricamano delicate melodie senza rinunciare a momenti di vocalità declamatoria e drammatica. Il tutto è condito da una ricercatezza ammirevole per il colore orchestrale, di evidente impronta sinfonica. Rusalka è un’opera dove l’orchestra gioca un ruolo centrale nel suggerire il dramma musicale stesso, nel valorizzarne al meglio ogni sfumatura. Un esempio è il grande duetto d’amore finale fra il Principe e Rusalka: è necessaria la giusta combinazione di suoni per evitare di cadere nella trappola del facile sentimentalismo, dell’eccessivo languore, del bozzetto di genere.

VC Eppure non mancano riferimenti a Wagner sul piano armonico, con accordi del Tristan und Isolde e temi ricorrenti, così come richiami al folclore ceco…
TH Come gran parte dei colleghi di fine Ottocento, Dvořák assimila il linguaggio tardo-romantico del suo tempo ma ne attenua i contenuti restando nel terreno della fiaba anziché in quello del mito. Un’eco del Tristan-Akkord si intuisce quando l’espressione del sentimento amoroso urge con maggiore veemenza, ma mancano le citazioni dirette. La sua ispirazione si modella anche al contatto con i canti e le danze tipiche del popolo boemo; anche qui si tratta però di influenze racchiuse in passaggi secondari (si veda la scenetta comica fra il guardiacaccia e lo sguattero all’inizio del secondo atto) che arricchiscono, senza delimitarlo, il “nuovo mondo” delle armonie di Dvořák. In questa strana opera dove l’eroina resta muta per buona parte dei tre atti (alla sua “umanizzazione” manca la facoltà di parlare) c’è poi un senso del paradosso che prelude già alle avanguardie d’inizio Novecento.

VC Confinata nel suo mutismo, Rusalka paga con il tradimento il prezzo della propria scelta e si rende conto di quanto il mondo degli uomini sia falso e mendace. Ma è davvero una povera vittima?
TH Rusalka è un essere diviso fra due mondi (figlia dello Spirito delle acque e di una donna) che desidera diventare totalmente umana per poter amare il Principe di cui è innamorata. Quando il giovane infedele si lascia sedurre dalla Principessa straniera, l’effetto è devastante ma non sarà lei a pagare con la morte, bensì il Principe che spirerà fra le braccia della fanciulla cosicché possa essere riaccolta nel mondo di sogno dal quale proviene. Nel corso dei tre atti la vediamo dunque pensare, scegliere, agire, persino perdonare: non si comporta affatto come una vittima sottomessa a un destino di infelicità. Il suo è un messaggio d’amore potente, incondizionato, che trova nei momenti solistici più intensi (pezzo da antologia la “Preghiera alla luna”) significati che le parole non dicono. Per il soprano, che deve avere spiccate doti attoriali, è una sfida difficilissima destreggiarsi fra recitativi ipnotici e arditezze struggenti da opera buffa.

VC Rusalka è una partitura che pratica da oltre un decennio in prestigiosi teatri europei: Vienna, Copenhagen, Helsinki, Monaco. Quale versione predilige e quanto si è evoluto il suo approccio negli anni?
TH L’attitudine di base resta la stessa, ma ogni volta che dirigo Rusalka torno a studiarla come se fosse la prima. L’esperienza maturata potrebbe indurmi a inserire il “pilota automatico”, ma ogni produzione è differente, ha la sua regia e richiede un certo tipo di esecuzione a seconda dell’orchestra e dei cantanti coinvolti. Ci sono allestimenti che cambiano il modo di guardare l’opera, come quello di Martin Kušej che dirigo in questi giorni alla Bayerische Staatsoper (di cui è disponibile anche una registrazione in dvd), dove l’innocenza di Rusalka viene strappata via con crudo realismo e lo spettatore è invitato a guardare sotto la patina fiabesca. Altri più tradizionalisti, che offrono chiavi di lettura meno dirompenti. Li rispetto tutti senza pregiudizi, l’importante è che rispettino a loro volta l’intima bellezza di questo capolavoro.

Valentina Crosetto