Una turcheria contro gli estremismi

Una turcheria contro gli estremismi

Thomas Guggeis, allievo di Daniel Barenboim, è uno dei direttori più brillanti della sua generazione. Per il suo debutto alla Scala si misura con il mozartiano Ratto dal serraglio nella storica edizione di Strehler

Thomas Guggies 715890BADG ph Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala

“Troppe note”, commentò l’imperatore Giuseppe II dopo aver sentito il Ratto dal serraglio a Vienna nel 1782. E Mozart, impertinente: “Quelle giuste, maestà”. Aveva ragione il musicista, perché la “turcheria” in tre atti è un fiume di ritmi indiavolati, tenerezze fra innamorati e invenzioni inesauribili che il leggendario allestimento creato da Giorgio Strehler con le scene di Luciano Damiani per il Festival di Salisburgo nel 1965 – poi approdato alla Scala nel 1972 e ripreso altre tre volte fino al 2017 – ha trasformato in un miracolo senza tempo. Lo spettacolo, ancora di una freschezza esemplare, sarà affidato dal 25 febbraio al 10 marzo alla bacchetta di Thomas Guggeis, che a soli trent’anni ricopre l’incarico di Direttore musicale dell’Opera di Francoforte e si è già conquistato la fama di miglior giovane talento emergente nel panorama musicale tedesco.

 

VC Nel 1965 fu Zubin Mehta a battezzare questo mitico Ratto a Salisburgo. Cosa si prova a misurarsi con la regia epocale di Strehler e la direzione insuperata di Mehta, che lo ha preceduto sul podio anche nell’ultima ripresa del 2017?

TG È una circostanza curiosa perché questa edizione del Ratto ha quasi il doppio dei miei anni, non ho mai avuto l’onore di dirigere una produzione tanto blasonata. Se questo allestimento ha fatto scuola è merito della geniale semplicità di Strehler, che ha reso giustizia all’ironia dell’opera con i suoi giochi di “teatro nel teatro”, ma anche del calore e della classe di Zubin Mehta, che all’epoca della prima esecuzione salisburghese aveva più o meno la mia età. Ho avuto la fortuna di incontrarlo più volte alla Staatsoper di Berlino: del suo Ratto ho sempre ammirato i tempi misurati, i contrasti smussati, i colori pieni di dolcezza, come se agisse in lui un senso dell’equilibrio affine allo spirito giocoso del Mozart dei primi anni viennesi. Cercherò di far tesoro dei suoi consigli combinando le formidabili possibilità dell’Orchestra della Scala con una lettura storicamente informata. 

 

VC Da molti è considerato l’erede di Daniel Barenboim, di cui è stato assistente musicale alla Staatsoper di Berlino e che ha sostituito in occasione del suo debutto scaligero con la West-Eastern Divan Orchestra nel 2022. Quali suoi insegnamenti ha assorbito?

TG È incommensurabile il dono ricevuto da Barenboim: grazie al suo esempio, ho imparato il mestiere di direttore come uomo prima ancora che come musicista. Lo considero un genio assoluto, un intellettuale a tutto tondo che ha saputo coniugare professionalità e impegno civile. La sua idea di direzione mozartiana, in particolare, ha i contorni manierati delle statue di Canova, è un distillato di armonia e fraseggio sapientemente levigati. A Berlino, durante le prove, ricordo bene quanto tempo dedicasse all’analisi di ogni dettaglio, anche quello che solitamente scorre inavvertito. Malgrado apprezzi il suo stile, non corrisponde però al mio. Non si tratta solo di una questione generazionale: sono cresciuto in un’epoca in cui il ritorno a prassi esecutive dimenticate ha scosso alle radici le convezioni. Credo che un musicista non debba limitarsi alla riproduzione e alla ricerca del bel suono, ma comunicare idee e vita nel presente, anche quando esegua un’opera antica su strumenti d’epoca.

 

VC Nel 2018 fece scalpore la sua riuscitissima direzione della Salome di Strauss alla Staatsoper di Berlino, nella quale sostituì l’indisposto Christoph von Dohnányi con un preavviso di poche ore. Come accolse quella notizia?

TG Nel mondo della musica molte grandi carriere di cantanti e direttori d’orchestra sono iniziate con una sostituzione all’ultimo minuto. Io ho avuto il privilegio di muovermi entro un ambiente familiare che ha reso l’imprevisto forse meno traumatico. Sono cresciuto all’ombra di Barenboim con mansioni che si sono gradualmente ampliate in seguito alla disdetta di molti suoi impegni, ma è stato un percorso naturale, non ne ho avvertito la pressione. Nel 2017 ero inoltre già Kapellmeister alla Staatsoper di Stoccarda, incarico che mi ha garantito una cospicua partecipazione al cartellone del Teatro. Senza rinnegare questo bagaglio, tuttavia, a un certo punto avverti la responsabilità di evolvere, di tirare fuori ciò che hai dentro, di toglierti l’abito dei maestri. Devi farlo se vuoi evitare il rischio di essere per tutta la vita la copia di qualcun altro.

 

VC Nessun ripensamento, quindi, verso la sua prima vocazione, la fisica quantistica?

TG È vero, dieci anni fa la musica non è stata la mia unica scelta, mi sono laureato in Fisica convinto che se non fossi riuscito a emergere entro i trenta avrei sempre potuto ricorrere al piano B. Oggi però non mi volto più indietro, non ne avrei nemmeno il tempo… la carriera di un direttore, come del resto la vita, è una strada in salita che esige dedizione, studio e volontà di ricerca costanti.

 

VC Il Ratto dal serraglio contiene una memorabile galleria di personaggi, a ognuno dei quali è affidato un alto numero di arie e interventi solistici. Qual è il suo approccio?

TG Il bello del Ratto è proprio l’esuberante arcobaleno sonoro che Mozart cuce addosso all’esile trama: con un anno di tempo per comporre l’opera la riempie di raffinatezze, cambi di tempo, variazioni, nonostante l’orchestrazione non sia ancora così elaborata come nella trilogia dapontiana. Sino a pochi anni fa, era considerato poco più che una “operetta” giovanile, nonostante la maestria con cui si accostano (secondo la tipica struttura del Singspiel) dialoghi teatralmente gustosi e arie di forma e contenuto diversissimo. Sarà interessante scoprire fin dove posso spingermi nell’esplorare le dinamiche dei cantanti: una parola che Mozart scrive spesso in partitura è “sottovoce”; non vedo l’ora di ricreare queste atmosfere sussurrate in un teatro che deve la sua celebrità anche alla sua acustica meravigliosa.

 

VC Dietro il velo dell’ironia, Mozart solleva nel Ratto questioni alquanto spinose: difende il diritto delle donne a dire di no, immagina un Islam tollerante come sogna l’Illuminismo della sua epoca…

TC Il Ratto mette in scena lo scontro fra due visioni del mondo allora come oggi dolorosamente contrapposte: da un lato, l’assolutismo misogino e la violenza intollerante (rappresentata dal sanguigno Osmino, servitore del sultano), dall’altro, l’eleganza del “buon vivere” occidentale (Konstanze e Blonde, rapite ma inviolate e fedeli ai rispettivi amanti). Uno scontro che si risolve, grazie al tocco magico della leggerezza mozartiana, nell’inaspettata vittoria della magnanimità del potere, il “sultano illuminato” Selim. Detta così sembra una conclusione fin troppo ottimista. Con il sorriso Mozart impartisce però una lezione valida per il nostro presente: se vogliamo combattere l’estremismo ideologico, di qualunque matrice esso sia, dobbiamo rafforzare lo spirito critico su cui si basa la civile convivenza fra popoli e la cultura del rispetto in materia di parità di genere. Il mio sogno è che il pubblico scaligero esca dalla sala con queste verità in tasca.

Valentina Crosetto